|
|
Articolo preso da Spaziogames:
Videogames come ispirazione alla violenza, istiganti a comportamenti deviati o antisociali, o ancora come causa dei mali degli adolescenti di tutto il mondo. Quante volte abbiamo sentito accusare il nostro passatempo preferito di essere causa (diretta o indiretta) di stragi, omicidi, o altri orrori simili? Tante, troppe volte. Da quando i videogiochi hanno iniziato ad assumere connotati sempre più realistici dal punto di vista grafico e contestuale, ogni nuova pubblicazione di una celebre saga (as esempio Grand Theft Auto, ma non solo) è salutata dalla massa di critici, politicanti e sociologi vari, come unh nuovo pericolo per i giovani fans. In questo speciale analizzeremo i meccanismi tipici della violenza espressa in forme di intrattenimento attive (i videogiochi in questo caso), il fascino e, di conseguenza, l’attrattiva che ne scaturisce, soffermandoci su alcuni esempi di titoli che, nel bene e nel male, hanno fatto parlare di sé, scatenando orde di petizioni, discussioni parlamentari, processi e amenità di vario tipo.
Videogames e violenza: una questione irrisolta Come sottolineato in precedenza, la rappresentazione grafica di scene o contesti più o meno violenti, va di pari passo con l’evoluzione tecnologica alla base delle moderne macchine da gioco. In passato picchiarsi senza limiti in Double Dragon o in Streets of Rage, non costituiva uno scandalo, o peggio, causa di comportamenti violenti, perché quei pochi (ma miracolosi) pixel non erano sufficienti a rendere in modo dettagliato le scene o i colpi più cruenti. Con l’aumentare delle risorse hardware a disposizione e dei progressi compiuti dalla grafica in generale, passando dal 2D al 3D, la rappresentazione scenica del contesto ludico ha assunto pian piano connotati sempre più vicini alla realtà. Scenari dettagliati, fisica computazionale ed effetti d’impatto, hanno permesso la visualizzazione di sequenze fotorealistiche in contesti sociali attuali e riconosciuti. Se da un lato l’immersione del giocatore ha accresciuto notevolmente l’esperienza complessiva, dall'altro sono sorte tutta una serie di problematiche relative alla violenza espressa e causata nelle azioni di gioco. La principale differenza che esiste fra cinema, televisione (film o documentari), infatti, è che in questi casi l’utente è passivo, "subisce" la visione e la narrazione senza possibilità alcuna di manipolarne gli eventi, fruendone in un unica sessione il racconto e finendo in tal modo per essere estraneo alla vicenda. Nei videogiochi, invece, l’interazione è massima e ripetuta, l’utente è chiamato a compiere scelte ed è visto come soggetto attivo di ciò che accade e parte del mondo di gioco. Questo meccanismo di intrinseca metabolizzazione, sradica il giocatore dalla propria realtà attuale e lo porta a vivere in contesti via via più realistici e, di conseguenza, pericolosi. Schizzi di sangue, mutilazioni di vario genere, omicidi e crimini attraverso soggetti non propriamente stereotipi del cavaliere senza macchia e senza paura, "costringono" il giocatore ad impersonare il soggetto e vivere realtà sì alternative, ma estremamente vicine alla sua. Perché i videogiochi (ma non solo) violenti hanno così successo dunque? Semplice: la violenza, quando lontana e simulata, attrae. Senza scomodare antropologi o psicologi illustri, possiamo ricondurre al più basso istinto dell’uomo i motivi di questa verità. L’uomo nasce come animale cacciatore e fin dagli albori della sua esistenza ha sempre dovuto combattere per sopravvivere, sia per nutrirsi che per difendere il proprio territorio. A tal proposito appare sensata la famosa frase di Thomas Hobbes, “Homo homini lupus”, ovvero l’uomo è un lupo per i suoi simili. E’ quindi inequivocabile che nel nostro inconscio i meccanismi che incitano alla violenza sono (per fortuna) sopiti in favore di una civilizzazione razionale e necessaria, avutasi col corso dei secoli, ma sempre pronti a riemergere qualora il contesto appare sensato e privo di pericoli reali, come quello di un mondo virtuale.
Alcuni esempi Il capostipite di questo fenomeno è stato il celeberrimo Carmageddon, uno dei titoli più controversi della storia videoludica. Uscito nel 1997, il gioco fece molto parlare di sé per il concept, originale ma alquanto macabro, in cui era necessario eliminare o i veicoli avversari o investire tutti i pedoni, con tanto di schizzi di sangue ed effetti raccapriccianti. Il gioco venne elogiato dalla critica di settore, ma fu stroncato dai mass media, sollevando un polverone ed alcune discussioni parlamentari. La conseguenza fu quella di censurare il gioco in alcuni paesi, sostituendo ai pedoni zombie con sangue verde, o addirittura robot (in Germania) per attutire l’impatto sui giocatori più giovani. Purtroppo, come spesso accade in questi casi, nessun organismo competente riuscì ad intravedere la massiccia dose di humor che permeava il titolo SCi Software in ogni suo aspetto, a partire dal contesto grottesco per finire al cursore a forma di mano mozzata. Altre saghe criticate sono quelle di Mortal Kombat, che dà il meglio di sé in termini di efferatezza durante l’esecuzione delle fatality o il più recente Manhunt 2, addirittura proibito in alcuni paesi, inizialmente bloccato e rilasciato dopo insistenti critiche. Il panorama attuale sembra distaccarsi dai concept narrativi delle passate epoche videoludiche, ponendo il giocatore in contesti sempre più ampi e libero da vincoli. A conferma di ciò, infatti, sempre più spesso i videogiochi attuali lasciano al giocatore un intero mondo da esplorare, con una sorta di trama da costruire pezzo per pezzo, attraverso missioni più o meno illegali; il successo dietro serie quali Grand Theft Auto o Saints Row 2, infatti, si basa proprio sul concetto di free-roaming e libero arbitrio. Le scelte sono slegate in parte dalla trama principale (che per forza di cose esiste ancora), e la moralità del giocatore è l’unico vincolo che separa un’azione buona da una cattiva, ponendo nelle mani dell’utente la responsabilità dei propri gesti. Fra i titoli più cruenti del mercato attuale figurano diversi generi, segno che la rappresentazione esagerata di una violenza finta, percepita come distante e liberatoria, è ben vista dalla massa e diverte. In Blitz the League 2, gioco di football arcade uscito qualche anno fa, contusioni, fratture e ferite varie sono realizzate in modo davvero realistico con inquadrature interne simil raggi-x degne della famosa serie CSI. L’acclamato Fallout 3 di Bethesda, offre decapitazioni, smembramenti, bulbi oculari e schizzi di sangue durante i suoi combattimenti in slow-motion con tanto di effetti sonori macabri. Far Cry 2 non ha la stessa forza visiva a livello di gore, ma sconvolge l’utente con un sistema di cura inedito e, in alcuni casi, fastidioso. Non mancano arti distorti e poi raddrizzati, estrazione di pallottole dal braccio o di pezzi di metallo conficcati in una gamba. Abbiamo citato da esempio un titolo sportivo, un gioco di ruolo ed uno sparatutto, ma la lista potrebbe tranquillamente aumentare ad un’occhiata più approfondita.
Questa invece la classificazione ESRB che tutti voi penso conosciate:
- E (Everyone): contenuto per tutti; - E10+ (Everyone 10+): contenuto per i ragazzi sopra i 10 anni; - T (Teen): contenuto per i ragazzi sopra i 13 anni; - M (Mature): contenuto per i ragazzi sopra i 17 anni.
Oltre alla classificazione per lettera sono usciti anche diversi bollini che indicano: sesso, sangue, violenza, droga accanto alla lettera (ovviamente M in questo caso).
Voi cosa ne pensate?
Io ovviamente scelgo la seconda. Basta che un genitore (o il venditore) controlli il gioco prima di darlo in mano al figlio-ragazzo che va a comprare, ed è tutto ok.
Anche quando si parla di giochi basterebbe tenere d'occhio i proprio figli e vedere cosa giocano.
La violenza non mi da fastidio...quando i giochi diventano sempre più reali, non sarebbe "giusto" censurare del sangue o delle scene cruenti se in quel contesto ci vanno bene.
Magari, alcuni giochi ne abusano, è vero, magari meno schizzi di sangue si potrebbero mettere, però ripeto, finchè le avvertenze in cover ci sono, se non vengono rispettate non è colpa delle aziende videoludiche che già con quei simboli "rischiano" di perdere i videogiocatori di un certo tipo.
|
|